Trasferta in Germania ed applicazione della Tax Treaty Exemption
Ecco quali sono i criteri utilizzati dalla normativa tedesca per definire l’ambito di applicazione della norma
Capita spesso di incontrare aziende italiane che inviano personale in trasferta all’estero, soprattutto all’interno dell’Unione Europea, ed è spesso credenza diffusa, tra le stesse aziende, che limitando la durata della presenza all’estero a periodi complessivamente inferiori ai 183 giorni nell’arco dell’anno non si incorra in alcun obbligo impositivo nel Paese estero.
Se è pur vero che il discrimine dei 183 giorni un certo qual significato ai fini fiscali lo riveste, è altrettanto vero che il fatto di prestare un’attività di lavoro all’estero per un periodo di tempo inferiore a detto limite temporale non mette automaticamente il contribuente al riparo da eventuali rischi di doppia imposizione fiscale.
Partendo da questo profilo tematico di riferimento andiamo nel seguito ad approfondire le ricadute fiscali che la gestione di una trasferta in Germania può determinare. Rileva in tal senso segnalare che l’osservatorio ECA Italia 2017 ci informa che le aziende italiane hanno nella Germania il secondo paese oggetto di trasferta o business trip, dopo la Francia.
Occorre infatti considerare che una presenza inferiore a 183 giorni (N.B: il numero massimo di giorni di presenza nel Paese estero di temporaneo lavoro per far valere l’applicazione della Tax treaty exemption può variare e risultare inferiore a 183, ad esempio, la Convenzione tra Italia e Messico prevede un massimo di 120 giorni di presenza) nell’arco dell’anno fiscale considerato è soltanto una delle condizioni necessarie per applicare la cosiddetta Tax treaty exemption normalmente prevista dall’art.15 par.2 dei Trattati contro le doppie imposizioni fiscali.
Tuttavia, anche altre condizioni devono essere soddisfatte al fine di poter legittimamente esentare da tassazione il reddito prodotto nel Paese estero.
Va altresì tenuto conto del fatto che possono sussistere delle differenze da Paese a Paese nell’interpretazione della stessa Tax treaty exemption.
Considerata, quindi, la delicatezza e la complessità della materia, cercherò in questa sede di illustrare quali siano i criteri utilizzati dalla normativa tedesca per definire l’ambito di applicazione della tax treaty exemption.
Come detto, al fine di verificare a quali condizioni il reddito di lavoro dipendente percepito dal lavoratore residente in Italia possa essere sottratto dall’imposizione in Germania occorre fare riferimento alla convenzione contro le doppie imposizioni fiscali stipulato tra Italia e Germania.
Occorre accertare se la norma convenzionale sia o meno idonea ad escludere da tassazione in Germania la retribuzione percepita dal lavoratore residente in Italia.
Più precisamente, ai sensi dell’art. 15 par. 2 della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Germania, in deroga alle disposizioni generali, lo Stato della fonte, ovvero lo Stato in cui viene temporaneamente svolta l’attività lavorativa (la Germania), non ha alcun potere impositivo se si verificano contemporaneamente le tre condizioni indicate:
- Il lavoratore non è presente nello stato della fonte (la Germania appunto) per più di 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato;
- I compensi sono stati corrisposti da e per conto di un datore di lavoro che non è residente nello stato ove è svolta l’attività.
- L’onere dei compensi non è sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nello stato ove viene svolta l’attività.
Con riferimento alla condizione di cui alla lettera a), deve essere sottolineato come i periodi di permanenza all’estero debbano essere verificati in base al criterio dei giorni di presenza fisica previsto nel Commentario all’art. 15 del modello OCSE.
Ciò premesso, giova considerare che la Germania fa parte di quei Paesi (come anche UK e USA) che hanno introdotto nel loro ordinamento tributario il concetto di “Economic Employer” inteso come l’entità che beneficia della prestazione e/o che sopporta il costo del dipendente.
Ciò significa che l’azienda tedesca potrebbe essere considerata il datore di lavoro economico della risorsa italiana anche se non vi è alcun contratto di lavoro formale tra il dipendente e la società tedesca.
Nel caso in cui la società tedesca possa essere considerata il datore di lavoro economico del lavoratore italiano sorgerebbe in capo alla stessa l’obbligo di operare le ritenute fiscali sui redditi prodotti dal lavoratore in Germania.
Per agevolare la comprensione della normativa tedesca, forniamo di seguito un elenco delle condizioni che devono essere soddisfatte per poter esentare il lavoratore dal pagamento delle imposte tedesche sul reddito da lavoro dipendente prodotto in Germania:
- Le retribuzioni devono essere corrisposte e sostenute dall’azienda italiana (non riaddebitate o rifatturate alla società tedesca), e
- l’attività deve essere svolta nell’interesse della società italiana, e
- Il lavoratore non risulta residente in Germania (il centro degli interessi vitali del lavoratore deve rimanere in Italia), e
- Il lavoratore non ha trascorso più di 183 giorni in Germania nel corso dell’anno fiscale considerato.
Qualora anche solo una delle condizioni sopra elencate non fosse soddisfatta, i redditi prodotti in Germania saranno tassati sia in Italia (Paese di residenza) che in Germania (Paese della fonte).
In particolare, se non saranno soddisfatte le condizioni indicate ai punti 1 e/o 2 ci sarà un obbligo di sostituzione di imposta in capo all’azienda tedesca sui redditi prodotti dal dipendente in Germania.
Se, invece, non saranno soddisfatte le condizioni indicate al punto 3 e/o 4, sarà il lavoratore stesso a dover versare le imposte all’amministrazione tributaria tedesca in auto-liquidazione.
Spesso in caso di trasferta l’intero compenso economico è pagato dalla società italiana e non viene riaddebitato alla società estera, tuttavia, può capitare che la società estera metta direttamente a disposizione del lavoratore alcuni benefit, ad esempio, l’alloggio.
In questo caso, sorgerebbe in capo all’azienda tedesca un obbligo di sostituzione di imposta che non riguarda soltanto il valore del benefit direttamente erogato, bensì sarà considerata imponibile in Germania anche una quota parte del reddito complessivo prodotto in Germania da calcolare in proporzione al valore del benefit, per fare un esempio pratico:
Il lavoratore percepisce dall’Italia una retribuzione di 100.000 Euro (importo non riaddebitato all’azienda tedesca) e l’alloggio viene fornito direttamente dalla società tedesca per un valore di 10.000 Euro.
In Germania sarà considerato imponibile l’alloggio oltre al 9% del reddito complessivo, in quanto viene fatto il seguente calcolo: 10.000/100.000+10.000 = 9%
Per concludere questo breve excursus sulle trasferte all’estero per periodi inferiori a 183 giorni, evidenziamo tre importanti aspetti che le aziende italiane dovrebbero considerare:
- Non dare per scontata l’esenzione fiscale nel Paese estero: occorre infatti tener conto dei diversi elementi che condizionano l’assoggettamento ad imposta nel Paese estero, non è sufficiente considerare solo i giorni di presenza nel paese.
- Il costo del lavoro dovrebbe essere sostenuto dall’azienda che effettivamente beneficia della prestazione, anche a rischio di subire una doppia tassazione (nel Paese di residenza e nel Paese di lavoro), altrimenti si rischia di violare le linee guida internazionali sul transfer pricing.
- L’eventuale doppia tassazione subita dal lavoratore sullo stesso reddito prodotto all’estero potrà essere recuperata attraverso lo strumento del credito di imposta.