Residenza fiscale: due nuove Risposte dell’Agenzia

L’Agenzia delle Entrate, in risposta a due interpelli, fornisce alcune indicazioni interpretative e soprattutto ribadisce come la residenza fiscale, sia una materia di accertamento e non di interpello.

Caso n.1: contribuente che sposta la residenza in Lussemburgo

Il primo interpello (Risposta n. 25/2018 ), riguarda un contribuente che sposta la propria residenza nel Lussemburgo (per motivi lavorativi) a partire dal 1 settembre 2017, iscrivendosi all’AIRE. Moglie e figlio continuano a risiedere in Italia. Il commercialista del contribuente ha considerato il suo centro di interessi in Lussemburgo.

L’Agenzia delle Entrate precisa, in primo luogo, che l’accertamento della residenza fiscale di una persona costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di interpello ordinario. Inoltre, la residenza deve essere valutata sia ai sensi della normativa interna che alla luce delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del TUIR
“Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”, sono residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nell’Anagrafe della popolazione residente o hanno in Italia il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Pertanto, un soggetto che si iscrive all’AIRE nella seconda metà dell’anno solare risulta ancora residente ai fini fiscali in Italia con riferimento all’intero periodo d’imposta. Inoltre, risulta fiscalmente residente in Italia il soggetto che, anche se iscritto all’AIRE per la maggior parte del periodo di imposta, mantenga il proprio domicilio ai sensi del codice civile (art. 43 c.c.),  ossia il centro vitale degli interessi da un punto di vista economico e degli affetti familiari).

Ad ogni modo, in caso di conflitto di residenza, si può far ricorso alle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni andando a verificare in primo luogo dove il contribuente ha la propria abitazione permanente e successivamente il proprio centro vitale degli interessi, dimora abituale e nazionalità.

Caso n.2: svolgimento di attività di ricerca negli USA

Il secondo interpello riguarda il trattamento fiscale dei redditi derivanti dallo svolgimento di attività di ricerca negli Stati Uniti nell’anno 2017 da parte di un soggetto fiscalmente residente in Italia.

Anche con la risposta a questo interpello (n. 26/2018), l’Agenzia delle Entrate conferma che la residenza fiscale di un soggetto costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 212 del 2000.

L’Agenzia fornisce alcuni strumenti interpretativi: con riguardo all’imponibilità dei redditi di un soggetto fiscalmente residente si deve fare riferimento all’art. 3 del TUIR che prevede l’applicazione dell’imposta su tutti i redditi ovunque prodotti. Dovrà essere poi analizzata la tipologia di reddito prodotto anche alla luce delle disposizioni contenute nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia/USA.

La Convenzione infatti dedica due articoli al trattamento fiscale delle remunerazioni percepite da professori e insegnanti (art. 20) e delle somme percepite da ricercatori e docenti (art. 21). Con riferimento al caso di specie, la contribuente riceveva remunerazioni che per espressa previsione normativa convenzionale si considerano esenti. Difatti, un professore o un insegnante che soggiorna temporaneamente negli Stati Uniti per un periodo non superiore a due anni allo scopo di insegnare o di effettuare ricerche presso una università, collegio, scuola o altro istituto d’istruzione riconosciuto, o presso una istituzione medica finanziata principalmente dal Governo e che è, o era immediatamente prima di tale soggiorno, fiscalmente residente in Italia, è esente, per un periodo non superiore a due anni, da imposizione negli Stati Uniti per le remunerazioni relative a tali attività di insegnamento o di ricerca.

Pertanto, alla luce delle previsioni convenzionali, l’esenzione non può essere invocata anche nel Paese in cui il contribuente ha la propria residenza fiscale. In conclusione, nell’anno d’imposta 2017 la contribuente dovrà dichiarare in Italia il reddito di attività da ricerca svolta negli Stati Uniti.

Luigi Murgo

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