REGIME IMPATRIATI: NUOVE OPPORTUNITA’ PER LE IMPRESE

Anche quest’anno uno degli argomenti che continua a focalizzare l’interesse delle aziende che sono chiamate a gestire fenomeni di mobilità internazionale del personale è rappresentato dall’incentivo fiscale introdotto, a partire dal 2016, dall’art. 16 del d.lgs. 147/2015 (“decreto in-ternazionalizzazione”) e rafforzato dal “decreto crescita” (DL 34/2019), il quale ha previsto un sostanziale restyling della normativa agevolativa finalizzata ad incentivare il rientro dei c.d. cervelli impatriati.

Il decreto crescita ha infatti ridotto, con effetto dal 2020 (o meglio, in favore di chi trasferisce la residenza in Italia a partire dal 30 aprile 2019 – data di pubblicazione del decreto 34/2019), al 30%, dal precedente 50%, la quota di reddito soggetta a tassazione, e ampliato di molto la platea dei possibili fruitori dell’agevolazione, eliminando le condizioni dell’elevata qualificazione o dell’assunzione di ruoli direttivi (condizioni previste dal comma 1 dell’art. 16 del d.lgs. 147 nella versione antecedente la pubblicazione del decreto crescita).

Se quindi il regime impatriati era stato introdotto originariamente al fine di attrarre soggetti ad alta qualificazione in Italia, e in questo modo quindi supportare lo sviluppo economico, scientifico/tecnologico e culturale del Paese attraverso un effetto di upgrade della forza lavoro domestica, per effetto delle novità introdotte dal decreto crescita il regime perderà in parte l’esclusiva finalità di attrarre dall’estero individui di talento ad elevata qualificazione.

Rimane ovviamente l’obiettivo, attraverso la leva fiscale, di incentivare l’ingresso o il rientro in Italia di persone fisiche, e questo a prescindere dal contributo (in termini di capacità, specializzazioni) che le stesse potranno dare al sistema Paese. La speranza è che il regime impatriati – pur non essendo riservato più solo al personale altamente qualificato – continui in ogni caso ad assolvere all’obiettivo di attrarre personale high skilled, influenzando le scelte di mobilità di questi lavoratori.

Il regime impatriati nella sua attuale formulazione

L’art. 16 del decreto legislativo n. 147 del 2015, nella formulazione attualmente in vigore, dispone che: “I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i redditi di lavoro autonomo (e i redditi d’impresa) prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel territorio dello Stato ai sen si dell’articolo 2 del Testo Unico delle Im poste sui Redditi, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare (…)”.

L’art. 16 del decreto internazionalizzazione continua ad individuare sotto il titolo lavoratori “impatriati” due categorie di beneficiari, i soggetti di cui al comma 1 e quelli di cui al comma 2 (in entrambi i casi l’agevolazione a cui si ha beneficio rimane identica).

Cominciando dalla categoria di soggetti beneficiari individuati dal comma 1 (che è quella che è stata interessata, come accennato, dalle modifiche del decreto crescita), possono accedere al beneficio fiscale i soggetti che soddisfino contemporaneamente le seguenti condizioni:

  1. trasferire la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art.2 del TUIR;
  2. non essere stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento della residenza fiscale in Italia;
  3. prestare l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano (l’attività lavorativa deve essere prestata nel territorio italiano per un pe- riodo superiore a 183 giorni nell’arco dell’anno);
  4. impegnarsi a mantenere la residenza in Italia per almeno un biennio. Il lavoratore che, ad esempio, trasferisca la residenza fiscale nel 2020 dovrà quindi mantenerla anche nel periodo d’imposta successivo (in caso contrario si provvederà al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi).

Il comma 2 prevede (oggi come in passato) che l’esclusione da imposizione del 70% dei redditi prodotti in Italia si applichi anche ai soggetti che soddisfino i seguenti requisiti:

  1. siano in possesso di un titolo di laurea;
  2. prima di rientrare in Italia, abbiano svolto fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più continuativamente un’attività di lavoro o studio (conseguendo, in questo secondo caso, un titolo di laurea o una specializzazione post lauream);
  3. siano cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni ai fini delle imposte sui redditi, ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale;
  4. abbiano trasferito la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR;
  5. siano stati fiscalmente residenti all’estero nei due anni precedenti il trasferimento (la condizione appena richiamata, in realtà, è stata introdotta dall’Agenzia delle Entrate in via interpretativa);
  6. si impegnino a mantenere la residenza fiscale in Italia per almeno un biennio.

“La speranza è che il regime impatriati – pur non essendo riservato più solo al personale altamente qualificato – continui in ogni caso ad assolvere all’obiettivo di attrarre personale high skilled, influenzando le scelte di mobilità di questi lavoratori”.

Durata e misura dell’agevolazione

L’agevolazione spetta per cinque periodi di imposta e, precisamente, per quello in cui il soggetto trasferisce la residenza fiscale in Italia e per i quattro periodi di imposta successivi.

Inoltre, il comma 3-bis introdotto dal D.L. 34/19 prevede l’estensione della durata dell’agevolazione per ulteriori cinque periodi di imposta (per un periodo complessivo di dieci anni) con possibile innalzamento della percentuale di esenzione fino al 90%, al ricorrere dei seguenti requisiti:

tabella articolo 7/5/20

Un’ulteriore novità del regime impatriati (nella sua versione post decreto) è l’introduzione del comma 5-bis, ai sensi del quale i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di lavoro autonomo e d’impresa prodotti in Italia da soggetti che trasferiscono la residenza in una delle regioni del Mezzogiorno, concorrono fin dal primo anno alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 10% del loro ammontare.

La mancata iscrizione all’AIRE nel periodo precedente il rientro

Come detto, per fruire dell’agevolazione il contribuente deve essere stato fiscalmente non residente in Italia per un periodo minimo e aver poi trasferito in Italia la propria residenza fiscale ai sensi dell’articolo 2 del TUIR.

Il citato articolo 2, al comma 2, considera residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior par te del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Le condizioni appena indicate sono tra loro alternative; pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.

Questo premesso, nella circolare 17/E del maggio 2017, l’Agenzia aveva affermato che: “tenuto conto della rilevanza del solo dato dell’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, il soggetto che non si è mai cancellato da tale registro non può essere ammesso alle agevolazioni in esame”.

L’Agenzia delle Entrate, nel valutare la residenza fiscale del lavoratore nel periodo precedente il rientro in Italia, sembrava quindi prescindere dall’analisi della situazione soggettiva della persona e non considerare le interferenze tra normativa domestica e internazionale.

Questa posizione, particolarmente rigida, che aveva portato l’Agenzia a disconoscere l’applicabilità del regime agevolativo ad un gran numero di lavoratori che avevano svolto attività all’estero ma senza iscriversi all’AIRE, è stata superata dall’intervento del DL n 34/19. Il decreto crescita ha portato all’introduzione del comma 5-ter dell’articolo 16 del d.lgs. 147, ai sensi del quale, sarà possibile superare la mancata iscrizione all’Aire nel caso l’impatriato arrivi da un Paese con convenzione in essere con l’Italia e il lavoratore possa essere considerato fiscalmente non residente in Italia – durante il periodo minimo richiesto dalla norma – in base ai criteri previsti dall’art. 4 dell’accordo contro le doppie imposizioni.

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