Regime impatriati: cercare lavoro non è abbastanza per accedervi
Con risposta all’ interpello n. 919-114/2018 del 18.10.2018 la DRE Calabria ha confermato in tema di regime impatriati quanto già espresso dalla Circolare 17 del 2017 sulla necessità di un nesso causale tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa, aggiungendo un ulteriore tassello interpretativo in questa direzione.
A parere della Direzione Regionale della Calabria, infatti, chi arriva in Italia e vi trasferisce la propria residenza fiscale, al fine di poter usufruire dell’agevolazione, deve provare l’esistenza di un accordo con il futuro datore di lavoro finalizzato alla sottoscrizione di un nuovo contratto.
In altre parole, secondo la DRE calabrese non è ammesso il regime impatriati per coloro che arrivano in Italia – attirati dalla norma agevolativa – per cercare lavoro.
Il caso analizzato riguardava una cittadina italiana, con laurea magistrale, che dopo circa quattro anni di lavoro all’estero, iscritta all’AIRE dall’agosto del 2013, nonostante fosse fallito il tentativo di rientrare in Italia con la società estera di cui era dipendente, appartenente a un gruppo internazionale, decideva di rientrare lo stesso per cercare un impiego lavorativo in Italia, trovandolo dopo 11 mesi dal rientro.
L’agenzia ha affermato che “dagli elementi forniti dall’istante, emerge che il rientro è stato motivato dalla naturale scadenza del contratto sottoscritto con la società (… n.d.r estera) e non invece da accordo con la società (… n.d.r. italiana) puntualmente finalizzati alla sottoscrizione di un nuovo accordo”.
Posto che – lo si ricorda sinteticamente – ai sensi del comma 2 dell’art 16 Dlgs 147/2015 l’agevolazione è consentita ai cittadini europei (o di Paesi con accordi fiscali) che trasferiscono per almeno due anni la residenza in Italia ex art.2 del TUIR dopo aver lavorato/studiato almeno 2 anni all’estero, si rileva che la necessità di un accordo con una società italiana finalizzato all’instaurazione di un rapporto di lavoro in Italia non è in effetti richiesta dalla lettera della norma istitutiva del regime impatriati.
Se anche fosse vero che la connazionale fosse rientrata come diretta conseguenza della naturale scadenza del contratto, l’Agenzia avrebbe dovuto tener conto che la stessa lavoratrice avrebbe potuto cercare nuovamente un lavoro all’estero, cosa che invece non è avvenuta in quanto la risorsa, attratta dalla norma agevolativa italiana, ha deciso di riportare in Italia le sue competenze maturate all’estero.
Vale la pena ricordare in proposito che la ratio del regime impatriati è proprio quella di attirare “soggetti che grazie alla loro esperienza all’estero, favoriscano lo sviluppo economico, culturale e tecnologico del Paese” (Circolare dell’Agenzia delle entrate n.17/17).
Peraltro, se si considera che la norma citata ammette il regime impatriati anche per i lavoratori autonomi, la posizione dell’Agenzia sulla necessità di un preaccordo comporterebbe che anche questi lavoratori, che verrebbero in Italia per iniziare un’attività autonoma, per poter beneficiare del regime agevolato dovrebbero stipulare degli accordi con committenti in Italia prima di potersi trasferire, cosa che sembra complicare non poco l’applicabilità del regime impatriati per gli autonomi e magari disincentivare eventuali interessati.
In conclusione, se l’approccio della DRE della Calabria fosse confermato ulteriormente dall’Agenzia, si escluderebbero tutti coloro che si trasferiscono in Italia, dopo esperienze formative all’estero, per cercare attivamente lavoro, contravvenendo quindi alla ratio della norma.
Ovviamente nulla vieta alla persona interessata dall’interpello a non adeguarsi e andare in contenzioso in caso di accertamento.
