Paolo Iacci su Harvard Business Review Italia – La diffusione dell’international remote working
Leggi l’articolo del presidente ECA Italia sul numero gennaio febbraio 2022 su Harvard Business Review Italia
La pandemia ha generato nuovi modelli organizzativi ibridi, che solo in parte prevedono unitarietà di tempo e spazio nell’organizzazione del lavoro.
Tra questi nuovi modelli di organizzazione del lavoro, ve ne sono alcuni caratterizzati da singoli dipendenti che svolgono la loro attività da remotovivendo stabilmente in un Paese diverso da quello in cui è ubicata la sede del loro datore di lavoro. Sono i c.d. “international remote worker”. Si tratta di un fenomeno che, se ha trovato nel Covid-19 il suo incipit, potrebbe regionevolmente stabilizzarsi in un prossimo futuro. L’International remot working si sta infatti diffondendo tra le aziende per ragioni di talent attraction, flessibilità gestionale e riduzione di alcuni costi connessi allo spostamento fisico del lavoratore.
ECA Italia ha indagato il fenomeno bek corso del 2021 utilizzando un questionario online. Tra suoi clienti (un campione di circa 350 imprese abituate ad operare in ambito internazionale) ha individuato 34 aziende (10% circa) che hanno gruppi stabiliti di international remote workers. Di queste, l’88% ha l’headquarter in Italia. Di seguito le domande e i key points emersi:
1.”La sua azienda consente il lavoro da remoto a livello internazionale”?
Per il 47% delle aziende intervistate la possibilità di lavorare da remoto in un Paese diverso dalla sede di lavoro non è più legato alla situazione emergenziale. Già oggi non è più una soluzione temporanea.
2. “La Sua azienda si è dotata di una policy cge regoli lo svolgimento del lavoro da remoto”?
I 2/3 delle aziende del campione confermano di essere dotate di una policy che regola il lavoro da remoto, ma solo a livello italiano. Le imprese italiane sembrano scontare ancora un ritardo strutturale su questo versante.
3. “Nel caso in cui la sua azienda consenta su base permanente di svolgere il lavoro da remoto in un Paese diverso da quello in cui ha sede l’imprese, come viene determinato il trattamento retributivo del dipendente”?
Nel 62% dei casi sulla base dei livelli salariali del Paese dell’azienda, senza tener conto del costo della vita del Paese in cui sta vivendo il lavoratore in remote working e solo nel 24% dei casi sulla base dei livelli salariali del Paese di residenza del lavoratore. Il tema della compensation dev’essere rapidamente oggetto di valutazione all’interno della policy di cui sopra.
4. “Quali sono le ragioni per le quali la sua azienda consente il lavoro da remoto a livello internazionale”?
Nella grande maggioranza dei casi l’introduzione del remote working internazionale è motiviata da ragioni personali del lavoratore (motivi familiari/personali che impediscono lo spostamento in altri Paesi) e quindi da politiche di attraction e retention di talenti presenti sul mercato internazionale. Nei casi di mismatch tra domanda e offerta di figure professionali critiche sul mercato internazionale di key people può talvolta fare davvero la differenza.
5. “La sua società utilizza l’international virtual assignment (lavoratore in distacco estero “virtuale”, che svolge attività a beneficio della subsidiary estera ma senza spostamento fisico nel Paese estero della società distaccataria)”?
Il virtual assignment è stato utilizzato di fatto come modalità alternativa all’assegnazione tradizionale (con spostamento fisico nella località di destinazione dell’espatriato) per ragioni temporanee legate alle difficoltà di spostamento durante la pandemia.
6. “Quali sono le ragioni per le quali l’azienda consente l’international virtual assignment”?
Per incrementare la flessibilità, minimizzare i costi e ridurre i tempi di assegnazione.
7. “In caso di international virtual assignment, come viene determinato il trattamento economico del lavoratore”?
Nei casi di utilizzo del virtual assignment per iniziare o proseguire l’assegnazione senza spostamento fisico del dipendente, nel 50% dei casi del campione non è stato previsto alcun trattamento monetario/in natura integrativo rispetto alle condizioni salariali del Paese d’origine. Uno specifico trattamento in caso di international virtual assignment finora è stato previsto solo nel 9% dei casi.
Siamo ancora in una fase iniziale del fenomeno, ma la diffusione dello smart working e la progressiva internazionalizzazione dei mercati suggeriscono la possibilità di una propagazione di questa particolare forma di organizzazione internazionale del lavoro, malgrado le attenzioni di carattere normativo e fiscale che necessariamente si dovranno valutare caso per caso.