La mobilità congelata dei giovani talenti

Il 6 febbraio, prima che fossimo travolti dalla pandemia, è uscito un libro di Enzo Riboni (“Ciao Italia! 101 storie di cervelli in fuga”, edizioni Mind) che raccoglie le storie pubblicate sul Corriere della Sera nella rubrica “Giovani all’estero”.

Rileggere ora i ritratti di giovani emigranti del Terzo millennio provoca una stretta al cuore. Perché sono proprio i giovani e i loro sogni, probabilmente, più di tanti altri i veri bersagli non sanitari del virus che tra gli effetti collaterali ha avuto quello di congelare la mobilità internazionale, grave ferita in un Paese in cui è già difficile sognare: la ricerca LinkedIn Opportunity Index 2020 che definisce come le persone percepiscono le opportunità e, soprattutto, le barriere che impediscono loro di raggiungere i propri obiettivi, fa emergere il pessimismo degli italiani, rispetto al resto del mondo, in termini di accesso alle opportunità. Sono stati intervistati più di 30.000 adulti (di età compresa tra 18 e 65 anni) in 22 Paesi, inclusa l’Italia: secondo la ricerca, in media, le persone in tutto il mondo vogliono trovare opportunità che permettano loro di perseguire le proprie passioni, trovare un equilibrio tra vita professionale e privata e poter contare sulla sicurezza del lavoro. Nella valutazione della percezione della “disponibilità di opportunità sul mercato”, l’Italia ha ottenuto il punteggio più basso a livello mondiale, al 22° posto. Rispetto alla “fiducia nel successo”, l’Italia si è classificata al 21° posto a livello globale, in penultima posizione.

Tornando ai giovani di Riboni, l’autore li ha suddivisi in Globtrotter, Oceanici, Asiatici, Panmericans, Continentali, fan della Grande mela o sedotti dalla City. Ma anche Repatriates, i rimpatriati, protagonisti di un racconto ogni dieci. “Migranti per libera scelta, per curiosità intellettuale, veri nomadi post moderni”. Più che di fughe, insomma, si tratta di inseguimenti opportunità poco presenti in Italia, di futuri più coerenti con la propria preparazione, di maggiori possibilità di imparare e crescere professionalmente, di soddisfacimenti delle proprie positive ambizioni”. Come sottolinea nella prefazione il presidente di ECA Italia e vicepresidente dell’Aidp, Paolo Iacci, a spingerli è in fondo proprio “il desiderio di futuro”. E i numeri lo confermano.

Dal 2008 a oggi sono più di 900mila gli italiani che hanno lasciato il Paese per cercare lavoro all’estero, centoventimila negli ultimi tre anni. Il 56% degli espatriati ha tra i 18 e i 44 anni e il 42% possiede una laurea. Questi giovani in movimento, che spesso rientrano per arricchire il Paese in cui sono nati, indicano su quali basi andrebbe costruito il futuro dell’Italia. Eppure, nelle 464 pagine del “Decreto Rilancio” la parola “giovani” compare soltanto nella sezione Istruzione e ricerca. E nei recenti “Stati Generali” dell’economia gli under 35 non erano certo all’ordine del giorno. Scuola e università, poi, non sono stati i primi pensieri nella gestione dell’emergenza, anzi, tutt’altro, dimenticando il monito di una padre della Repubblica come Pietro Calamandrei, per il quale “se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e perfezioni, si può dire che la scuola, a lungo andare, è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte Costituzionale” (parole di un costituzionalista!). La formazione interrotta e ripresa solo parzialmente online ha messo in luce i digital divide territoriali che separando irrimediabilmente connessi e italiani offline. Lo abbiamo visto in questi giorni quanto destabilizzi tale distanziamento tecnologico con milioni di studenti che non riescono ad essere integrati nel diritto fondamentale allo studio e, per i più piccoli, all’esercizio primario della socialità. Nonostante lo sforzo di molte scuole, infatti, ci sono ancora troppe strutture e insegnanti che non ce la fanno a gestire una didattica virtuale. Per non parlare di quei cinque milioni di micro-imprese su sei che non sono ancora in grado di aprire il cassetto digitale da tempo messo loro a disposizione. La fase della ricostruzione, pertanto dovrà contemplare la necessità che molti soldi vadano spesi – leggi investiti – nelle infrastrutture digitali e in formazione. Tenendo a mente i giovani e il loro desiderio di mobilità da riconquistare.

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