E se questa fosse l’occasione per ridurre le disuguaglianze?

Dalle sfere d’influenza geopolitica alle abitudini di consumo, lo stiamo oramai metabolizzando, terminata anche la “fase due” nulla sarà come prima. Per certi aspetti, tuttavia, potrebbe essere meglio di prima. La pandemia è una rivoluzione per i sistemi economici e sociali perché cambia i paradigmi. Quel semplice gesto di alzare la mascherina al volto ci accompagnerà a lungo e avrà un impatto radicale ridefinendo aspettative, dinamiche relazionali e meccanismi di produzione. In tal senso può rappresentare un’occasione per costruire un modello di crescita meno sbilanciato. Prendiamo il fenomeno delle disuguaglianze: in numerose e diverse società – e a diversi gradi di sviluppo – la stabilità ha avuto paradossalmente l’effetto di aumentarle. Così è stato anche nelle democrazie contemporanee alimentate dal capitalismo finanziarizzato dell’ultima fase di globalizzazione. A ridurre le distanze tra ricchi e poveri, nel corso della storia, ci hanno pensato invece gli choc violenti. E dei quattro cavalieri del livellamento, così li ha chiamati lo storico Walter Scheidel, le epidemie si sono rivelati i più letali.

Il loro effetto di distruzione della ricchezza, a lungo termine, è stato più potente di quello di guerre, rivoluzioni trasformative e crolli dello Stato (gli altri apocalittici livellatori). Ma hanno ricacciato tutti, i primi e gli ultimi, in condizioni peggiori rispetto a prima. All’inizio, certo, anche il Covid-19 alimenta diseguaglianza: lo fa direttamente, per il diverso impatto fra blocchi sociali, e di sponda, attraverso le misure di contenimento che discriminano fra soggetti economici. Le conseguenze in prospettiva, però, sono un dato di cultura, non di natura: se riusciremo cioè a ricostruire una società più inclusiva e meno diseguale dipenderà dalla risposta politica – la reazione della polis – al trilemma lavoro-ambiente-salute che questa epidemia impone con toni apodittici su scala globale.

Le tessere da comporre nel nuovo puzzle sono tante e in molti casi sempre le stesse. Perché questa volta la pandemia non le accentui invece di attenuarle, è soprattutto necessario combinare le tante forme di ricchezza di cui disponiamo nella dimensione vitale del territorio. Proprio dove pubblico e privato – se n’è avuta prova nelle ultime settimane con le centinaia di iniziative congiunte – interagiscono di fatto favorendo la coesione. Ma bisogna anche saper coinvolgere il capitale sociale e relazionale: la comunità può essere davvero il terzo pilastro tra Stato e mercato per dare maggior equilibrio alla ricostruzione.

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