Smart (working), visioni e internazionalizzazione
Un recente report LinkedIn traccia una fotografia dell’orientamento assunto da molteplici categorie di lavoratori su uno dei temi più attuali del momento: lavorare o meno e quanto “in smart”. Si tratta della ricerca “Future of work 2021” che fa un punto dei trend e scenari nazionali su modelli di lavoro e prospettive di carriera e cui di recente il Corriere della Sera ha dato spazio, evidenziando alcuni dati: il 50% dei professionals aziendali apprezza la soluzione “smart”, seppure nel quadro di un bilanciamento che non sterilizzi totalmente l’attività in presenza. Il benchmark più significativo è in ogni caso un altro e tocca il profilo anagrafico degli intervistati: più il dipendente coinvolto è “neo”, maggiore è la sua propensione verso soluzioni organizzative che privilegino la presenza in azienda. Il 38% dei profili sottoposti ad indagine “legge” con timore la circostanza generale che vedrà alcuni colleghi in ufficio e altri in remoto, laddove i primi potrebbero, nell’intendimento degli intervistati, trarre maggiore vantaggio sul piano del percorso di carriera e soprattutto dell’acquisizione di know e competenze. È su questo ultimo item che va a posizionarsi un combinato tra millennials e Z Generation.
Se è vero che LinkedIn è il veicolo social maggiormente attendibile nel mondo professionale e aziendale, questo tipo di dato va in qualche modo investigato, con un focus ad hoc per chi si occupa di internazionalizzazione delle risorse umane: è innegabile che le performance e in generale l’efficienza operativa non hanno avuto cadute nel corso di questo tempo così complicato. Manager e professional aziendali hanno mostrato capacità di adattamento e resilienza in molti casi inaspettate, le aziende sono state in piedi e capaci di riorganizzarsi in tempi rapidissimi. La performance ha assunto carattere realmente transnazionale per quelle aziende che hanno avuto e hanno nell’internazionalizzazione del business un fattore critico di successo. Per chi fa global mobility ricorrere a modelli di business quali l’International Remote Working o il Virtual Assignment è diventata una pratica operativa frequente e, mi ripeto, efficiente. Guardando al medio termine diventa probabilmente strategico investigare questa attitudine che sembrerebbe toccare millennials e Z Generation: stiamo parlando di quella che sarà la classe dirigente in un periodo che potremmo posizionare tra il 2025 e il 2040. Le aziende e le direzioni HR potrebbero nel tempo allargare il punto di osservazione ad aspetti che bilancino l’efficienza garantita dallo smart working con l’efficacia di un lavoro in presenza, che potrà fornire forme di valore aggiunto che il remote working potrebbe, forse, derubricare: la comprensione del contesto aziendale, la cultura dell’azienda e quindi il senso di appartenenza alla stessa, le strategie di sviluppo internazionale, la multiculturalità, il valore della convivenza e la capacità di confrontarsi nelle virtuosità e nel conflitto; tutte circostanze tanto più vere quanto più l’attenzione si orienterà alla dimensione internazionale del lavoro. I manager e tecnici internazionali, gli espatriati, hanno giocato e giocano tuttora un ruolo strategico nelle organizzazioni: il virtual assignment combinato con l’international remote working potranno sopperire o addirittura sostituire uno dei modelli di business maggiormente vincenti adottati dalle aziende negli ultimi 30 anni? Si potrà fare management “nazionale e internazionale” seduti dalla propria scrivania a Milano, ma con effetto e ricaduta verticale sugli interessi della nostra sister company negli USA? L’osservatorio di ECA Italia sta registrando molta domanda in questo senso, l’investigazione genera peraltro effetti pratici e indotti su tematiche gestionali complesse, quali il rischio di stabile organizzazione nei paesi ove ricade l’impatto operativo del “virtual assegnee” o del “remote worker internazionale”, oltre ad aspetti di pianificazione retributiva, fiscale, previdenziale che non potranno che rimanere centrali, tanto più si dovessero innescare impatti sul piano transnazionale. La conclusione, come spesso accade in azienda non c’è ancora, i fatti ci stanno portando verso un’evoluzione, un cambiamento. Nel saggio “I Barbari” di Alessandro Baricco del 2013 si legge che “ si percepisce nell’aria, un’incomprensibile apocalisse imminente; e, ovunque, questa voce che corre: stanno arrivando i barbari. Vedi menti raffinate scrutare l’arrivo dell’invasione con gli occhi fissi nell’orizzonte della televisione. Professori capaci, dalle loro cattedre, misurano nei silenzi dei loro allievi le rovine che si è lasciato dietro il passaggio di un’orda che, in effetti, nessuno è riuscito a vedere. Spesso chi sa scrivere disegna scenari di medio termine senza saperlo, forse è stato il caso di Baricco.