Risposta 99 del 19/01/2023 – Tassazione in Italia del remote worker a favore di datore cinese

Il caso che presentiamo oggi riguarda un lavoratore dipendente di una società cinese, residente in Cina ed iscritto AIRE, rientrato in Italia nei primi mesi del 2020 e rimasto qui bloccato causa Covid.
Durante il 2020, il dipendente ha lavorato (per più di 183 giorni) in smart working per la società cinese.
Il lavoratore ritiene di dover essere tassato esclusivamente in Cina sulla base dei chiarimenti contenuti nell’Analisi OCSE sull’impatto COVID sui Trattati per cui i giorni lavorati nell’altro Stato (i.d. Italia) per ragioni eccezionali si considerano come giorni lavorati nello Stato in cui ordinariamente era prestata l’attività lavorativa (i.d. Cina).

La risposta dell’Agenzia dell’Entrate stabilisce che nel presupposto che ci sia un conflitto di residenza tra Italia e Cina e che quindi debba essere utilizzata la Convenzione Italia-Cina, si ritiene che, considerando il criterio del “soggiorno abituale” previsto dalla Convenzione (che deve considerare “frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo”), il reddito di lavoro dipendente percepito per l’attività di lavoro svolta in Italia deve essere tassato anche in Italia, non trovando applicazione il principio di tassazione esclusiva nello Stato di residenza del contribuente (poiché il soggiorno in Italia è stato maggiore di 183 giorni).
L’Agenzia conferma, inoltre, che il principio riportato delle Analisi OCSE sull’impatto COVID vale solamente in presenza di appositi accordi amministrativi interpretativi e a condizione di reciprocità (gli unici accordi firmati dall’Italia sono stati con Austria, Francia e Svizzera e pertanto non possono trovare applicazione con la Cina).

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