No-deal Brexit e cittadini UK espatriati: le strategie dei principali Paesi UE
Brexit: che cosa comporta?
Mentre la Gran Bretagna procede di gran carriera sul binario di una possibile no-deal Brexit – non senza scintille e sferragliamenti – il 29 marzo 2019, data prevista per l’uscita ufficiale del Regno Unito dall’UE, si fa sempre più incombente. Infatti, il 15 gennaio, il Parlamento britannico ha fermamente bocciato l’ipotesi di un accordo negoziale tra Gran Bretagna e UE, rilanciando uno scenario incerto sul futuro dei rapporti con gli altri Stati membri. Allo stesso tempo però, il 21 gennaio scorso, il Ministero degli Interni britannico, in occasione dell’aperura della fase di collaudo del cd. EU Settlement Scheme, ha fatto marcia indietro sulle tasse di registrazione precedentemente previste per i cittadini dell’UE e i loro familiari ai fini dell’ottenimento dello status di residente nel Regno Unito; tale richiesta, infatti, non comporterà più alcun onere e il governo provvederà a definire le modalità di rimborso per coloro i quali abbiano già pagato la richiesta.
Non è ancora chiaro quali conseguenze genererà l’uscita formale del Regno Unito dall’UE; certo è che avrà notevole impatto sulla libera circolazione delle merci, dei capitali, sulla libera prestazione di servizi in ambito comunitario e, di conseguenza, dei lavoratori.
In questo disorientante scenario internazionale, i Paesi dell’Unione stanno predisponendo alcune azioni preventive allo scopo di attenuare – e dilazionare – quanto più possibile gli effetti di una no-deal Brexit e fronteggiare le possibili ripercussioni anche in materia di mobilità internazionale delle risorse umane.
Le azioni preventive degli stati UE:
Tra questi, il governo italiano ha annunciato l’introduzione di misure legislative a protezione dei cittadini britannici attualmente residenti in Italia. Tali misure hanno come obiettivo quello di garantire il mantenimento della residenza anagrafica in Italia per i cittadini britannici che risultino iscritti all’anagrafe del proprio Comune italiano di residenza alla data del 29 marzo 2019. Il provvedimento garantirebbe loro il diritto a richiedere lo status di soggiornante di lungo periodo, così come previsto dalla Direttiva UE 2003/109/EC. Ciò consentirebbe ai richiedenti di continuare ad avere accesso ai servizi di assistenza sanitaria, prestazioni sociali, occupazione, istruzione e ricongiungimento familiare.
Allo stesso modo, il governo danese ha garantito che i cittadini britannici che attualmente vivono e lavorano in Danimarca, manterranno il diritto all’accesso a determinate prestazioni sociali, prevedendo misure legislative più specifiche nelle prossime settimane.
La Francia, invece, ha già approvato una legge a protezione dei diritti dei cittadini britannici che risultino ivi residenti entro il 29 marzo, concedendo loro un periodo transitorio durante il quale registrarsi. Quanto ai dettagli circa i diritti riservati ai cittadini coinvolti, saranno subordinati a un’offerta reciproca da parte del Regno Unito.
Le autorità tedesche, intanto, hanno implementato un sistema di registrazione online a disposizione dei cittadini britannici residenti a Berlino, i quali, nell’ipotesi di una no-deal Brexit, avranno tempo fino al 30 giugno 2019 per effettuare la registrazione.
Anche i Paesi Bassi hanno previsto un periodo di transizione – che va dal 29 marzo 2019 al 1° luglio 2020 – in caso di mancato accordo tra UK e UE. Entro il 29 marzo 2019, il Servizio Olandese per l’Immigrazione (IND) invierà a tutti i cittadini britannici e ai loro familiari non-UE che vivono nel Paesi Bassi una lettera che fungerà da permesso di soggiorno temporaneo durante il suddetto periodo. In seguito, i cittadini del Regno Unito e i loro familiari che intendano soggiornare, lavorare, studiare nei Paesi Bassi necessiteranno di un permesso di soggiorno, il cui ottenimento sarà subordinato agli stessi requisiti di residenza applicabili ai cittadini dell’UE. Le lettere di invito a richiedere il permesso di residenza saranno inviate dall’IND entro e non oltre il 1° aprile 2020.
Analogamente, la Svezia ha presentato un memorandum in cui si prevede un periodo di transizione di un anno durante il quale i cittadini britannici che attualmente vivono e lavorano in Svezia manterranno i loro diritti. Il documento contiene inoltre una serie di emendamenti legislativi volti a semplificare la richiesta di residenza e del permesso di lavoro.
La Polonia si è mossa nella stessa direzione, annunciando una bozza di legge che prevede un periodo di transizione di un anno che permetta ai cittadini britannici e ai loro familiari di ottenere lo status di residente.
Anche il governo spagnolo si è mobilitato elaborando dei piani di emergenza per consentire ai cittadini della Gran Bretagna di convertire il proprio status in quello di “residente legale” ai sensi della normativa locale.
Similmente, la Repubblica Ceca sta vagliando l’ipotesi di un periodo di transizione di 21 mesi per consentire ai cittadini coinvolti di registrarsi e ottenere la residenza.
Differiscono lievemente i provvedimenti adottati dall’Irlanda, in accordo con il Regno Unito. Le due nazioni hanno infatti concordato il mantenimento della Common Travel Area dopo la Brexit, garantendo reciprocamente ai propri cittadini in possesso di passaporto la possibilità di studiare, lavorare e risiedere nei rispettivi Paesi, senza dover richiedere il permesso di soggiorno/lavoro. Tale accordo non copre però i familiari non-SEE di cittadini britannici e irlandesi. Pertanto l’Irlanda si sta attivando per l’introduzione di misure a loro tutela.
È probabile che anche gli altri Stati membri adottino a breve misure atte a tamponare gli effetti che una no-deal Brexit potrebbe generare, mimando il percorso già imboccato dagli altri Paesi. Quanto alla Gran Bretagna, le prossime settimane riveleranno se il tragitto che sta percorrendo possa ancora deviare e affiancarsi all’Europa o se, al contrario, i due binari siano destinati a non incontrarsi o, peggio ancora, a scontrarsi.