La lezione di Marchionne il Manager

L’estate 2018 nel mondo del management sarà ricordata anche per la prematura scomparsa di Sergio Marchionne. “Le idee più potenti sono i metodi”, pensava Friedrich Nietzsche. E il “metodo-Marchionne” ha effettivamente rivoltato come un calzino l’industria dell’auto italiana. Prima recuperando dal baratro quel che ne restava, e cioè la Fiat d’inizio millennio, quella dell’”anno zero”; poi guidando il nuovo gruppo Fca a competere sul mercato globale. “Esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadono. Le fanno accadere”, si legge sulla prima di copertina di “Marchionne Lo Straniero”, il saggio di Paolo Bricco, inviato speciale del Sole 24 Ore, appena pubblicato da Rizzoli, frutto di oltre tre anni di lavoro fra gli States e lo Stivale, nei luoghi chiave dell’automotive e in particolare in quelli rivoluzionati dal “manager” italo-canadese.

 

Già, il manager: Marchionne, prima di approdare al Lingotto, non era un uomo d’industria “pesante”. E nemmeno un abile “finanziere”, come da alcuni osservatori è stato raccontato. Era molte cose accomunate dalla finezza di pensiero e dall’inesauribile capacità di lavoro: avvocato e commercialista, revisore e consulente. Ed era un manager poco noto al grande pubblico, ma già dalle idee innovative e folgoranti.

 

Come ha raccontato l’amico e per certi versi mentore Franzo Grande Stevens, “Umberto (Agnelli, ndr) aveva valutato Marchionne dai risultati eccezionali che aveva raggiunto lavorando per la Sgs, Société Générale de Surveillance, società di assicurazioni ginevrina. Umberto ci disse che quest’uomo aveva avuto un’idea geniale: quella di incaricare un suo uomo in ogni scalo marittimo o aereo del mondo. Questo incaricato doveva garantire all’acquirente i beni di qualsiasi genere (dal petrolio alle noci alle castagne e via di seguito) e che essi corrispondessero alla qualità dichiarata dal venditore. In questo modo i tempi dell’accertamento e le qualità promesse dalla società di assicurazioni erano praticamente annullati”.

Alla fine Marchionne si è rivelato  soprattutto un “supermanager”, un genio del metodo capace di innovare i processi, partendo da quelli aziendali per arrivare a quelli negoziali – sui fronti industriale, finanziario, sindacale e politico – in un epoca di transizione. Proprio per questa ragione la sua lezione è preziosa per chi di mestiere, guidando un’azienda piccola o grande, interagendo comunque con dei team di lavoro, si trova ad affrontare delle sfide gestionali. “Rispetto al formalismo e al politicamente corretto degli eredi dei car guys di un tempo trasformati in algidi dirigenti con master della Ivy League – osserva ad esempio Bricco –, il profilo di Marchionne da immigrato che lavora così tanto da non trovare il tempo di andare dal dentista sembra provocare identificazione ed empatia”. Nei metalmeccanici dello Uaw, certo, ma anche nelle persone comuni o in un presidente atipico quale era Barack Obama.

 

Ripercorrendo la  vita privata e professionale di Marchionne, la sua ascesa vertiginosa, le sue innovative ricette economiche, ma anche le critiche e gli aspri scontri con i lavoratori della Fiat, Bricco riesce a darne un ritratto completo e robusto anche in chiave psicologica, raccontando come il carattere abbia determinato il metodo e dal metodo ne sia stato determinato. Una testimonianza piena di spunti e riflessioni metodologiche per i “gestori di uomini” di oggi e di domani.

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