I giovani preferiscono scegliere che farsi scegliere
Vero è che c’è stata una inevitabile accelerazione nell’utilizzo degli strumenti digitali che consentono il lavoro da remoto. Ma anche prima dello tsunami provocato dal Covid-19, per i giovani che si affacciavano al mercato del lavoro la ricerca di opportunità viaggiava già sul Web 2.0.
Secondo una recente ricerca condotta da Eva-Employee Value Attraction, HR Marketing agency dedicata all’employer branding, offerte pubblicate sui siti Web istituzionali delle aziende o sui portali delle università appartengono ormai a un’altra era geologica. Non si leggono più. Anzi, non si vedono nemmeno.
I giovani talenti setacciano piuttosto – e in maniera sempre più sofisticata e proattiva– i social network per trovare il “best place to work”. Non solo i social professionali, intendiamoci, ma anche quelli ludici stile TikTok o Instagram.
All’indomani del lockdown – precisamente dall’11 al 30 giugno 2020 – Eva ha intervistato con modalità Cawi 500 giovani di età compresa fra i 18 e i 35 anni, per il 65% millennial (Generazione Y, nati tra il 1981 e il 1996) e per il 35% zoomer (Generazione Z, nati dal 1997 in poi). Tutti sono in possesso di un diploma e il 67% di una laurea. Uno su due ha già un’occupazione, uno su quattro la sta cercando mentre prosegue gli studi e, infine, uno su quattro preferisce concentrarsi solo sui libri. Ma quasi tutti cercano lavoro o di cambiare lavoro sui social.
Con delle sfumature interessanti, che l’indagine mette bene in evidenza: Facebook, ad esempio, è molto diffuso ma non sfonda. Instagram, invece, spopola con il 60% delle preferenze mentre TikTok si fa largo soprattutto tra gli Zoomer (uno su quattro ha aperto un account). Certo, in una prima fase, quella esplorativa, una sorta di giro di sorvolo, oltre all’indispensabile Linkedin gli under 30 si affidano anche a Facebook, Instagram e qualsiasi altra piattaforma consenta loro di farsi un’idea dell’impresa per cui candidarsi. Percentuali molto più alte rispetto a quelle di chi consulta le career page aziendali (34%), i siti specialistici (28%) e gli uffici di stage e placement universitari (31%). In ogni caso perdono terreno eventi e conferenze dedicate, agenzie interinali e cacciatori di teste.
L’indicazione di fondo è abbastanza chiara: i giovani, quando possono – e stiamo parlando di un target alto per formazione e in alcuni casi esperienza nonché di predisposizione alla mobilità internazionale – preferiscono scegliere e non farsi scegliere. Per questo alzano le loro antenne sulla rete social. Per carpire anzitutto informazioni sulla vita in ufficio (clima, opportunità di carriera, work-life balance e formazione) e sulla reputazione dell’impresa (in termini di sostenibilità, sicurezza e innovazione).
Le imprese italiane, però, stentano ancora a comunicare questi aspetti qualitativi in modo efficace: lo dimostra il fatto che solo il 9% degli intervistati sia stato invogliato a cercare lavoro dai contenuti accattivanti pubblicati sui canali aziendali e solo il 7% da una rappresentazione positiva dell’ambiente lavorativo.
Insomma: la domanda spinge, ma sul lato dell’offerta c’è ancora molto da lavorare per trasformare i social media in uno strumento di talent attraction.