HR Manager? Meglio i bambini dei robot

A Londra come a Milano o a Roma o in qualsiasi grande e piccola città del mondo occidentale nel 1982 il personal computer più evoluto e diffuso era forse l’Apple 2. Ma nella Londra dello stesso anno dell’ultimo romanzo di Ian McEwan, “Macchine come me”, il Regno Unito e ogni altro Paese sono precocemente informatizzati. Tanto che viene messo in commercio il “primo autentico umano artificiale dotato di aspetto fisico e intelligenza realistici, movimenti ed espressioni facciali verosimili”. Una delle prime persone ad acquistare un “Adam” – è il nome dei robot di sesso maschile, “Eve” sono quelli di sesso femminile – con 86.000 sterline è il narratore poco più che trentenne Charlie Friend. Questo è possibile perché nella ricostruzione storica contro-fattuale di McEwan il geniale Alan Turing, all’epoca, era vivo e vegeto. Ed era riuscito a portare a termine una serie di notevoli invenzioni, fino ad arrivare a quella più sbalorditiva: “Un mito della creazione trasformato in realtà”.

 

Adam non farà una bella fine. Perché non sapeva mentire. O meglio: non conosceva la valenza morale delle cosiddette “white lies”, le bugie bianche. Questione di sfumature “umane, troppo umane”. Anche per un androide dalle prestazioni eccezionali.

 

Sarebbe interessante sapere come se la caverebbe Adam oggi con i curriculum che arrivano in mano agli HR manager. A milioni ne vengono inviati alle aziende. Una mole impressionante di informazioni che per essere gestita al meglio ha bisogno di un processo di selezione. Pre-screening che sempre di più le aziende affidano ad un Applicant tracking system, un software che ha lo scopo di selezionare in modo automatizzato e scremare il numero di candidati che rispondono ad una determinata offerta di lavoro. Secondo i dati di una recente indagine dell’AIDP sulle direzioni delle risorse umane, c’è una crescente diffusione dell’utilizzo dei sistemi di Intelligenza Artificiale nelle attività di ricerca e selezione del personale: il 58% delle aziende negli ultimi tre anni hanno introdotto sistemi di automatizzazione del reclutamento. E il 63% ha utilizzato questi software per le attività di pre-screening.

 

È insomma sempre più spesso un robot a pre-selezionare candidati “forti” e “deboli”. Ma in alcuni casi curriculum idonei vengono per errore esclusi. Macchine e uomini non utilizzano purtroppo la stessa lingua. Perché il linguaggio dei curriculum non sempre è lo stesso del software di selezione. E il linguaggio – la semantica, non la sintassi – è fatto anche di sfumature. I manager delle Risorse Umane possono stare tranquilli: neanche Adam potrà rubare loro il lavoro. Perché non è possibile programmare un algoritmo per insegnare a un computer a mentire a fin di bene. E nemmeno a giocare. Come ben spiega Alan Turing a Charlie, il protagonista di “Macchine come me”: “Questa intelligenza non è perfetta. Non potrà mai esserlo, esattamente come la nostra. Esiste una particolare forma di intelligenza indiscutibilmente superiore, come sanno anche tutti gli A e le E. Un modello altamente adattabile e creativo, capace di negoziare situazioni e scenari inediti con assoluta disinvoltura e di ricavarne teorie di intuitiva genialità. Mi riferisco alla mente di un bambino prima di essere programmata per assolvere compiti riguardo a fatti, procedure e obiettivi. Gli A e le E faticano a comprendere l’idea del gioco, che è invece lo strumento di esplorazione vitale del bambino”.

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