Global Employment Company: un modello di business per la gestione dei talenti internazionali

La domanda globale di competenze ha consolidato in azienda un principio di riferimento: il talento non ha nazionalità. È un concetto che sembra scontato, ma che non sempre trova pieno accoglimento nel dibattito corrente, tanto più la discussione si allontana dai meeting aziendali e i relativi flussi di lavoro. Di “guerra dei talenti” si parla fin dagli anni ‘80/’90: si sono progettate e si progettano tuttora strategie innovative per rendere attrattivo agli occhi dei nuovi manager il brand aziendale, si creano percorsi di carriera e piani di compensation per posizionare l’azienda in modalità contrattualmente forte e possibilmente “captive” per il talento che si muove sul mercato internazionale. Molto spesso, peraltro, la famiglia HR derubrica gli aspetti tecnico gestionali che possono assumere un peso specifico a tratti molto rilevante, come la dinamica dei costi da un lato e la complessità tecnico-organizzativa dall’altro. Uno dei benchmark che segnala questo trend è certamente quello connesso alla transnazionalità degli organici, alla presenza di team internazionali, al fatto che le famose tavole di rimpiazzo non siano più (e solo) “Paese su Paese”, ma “continente su continente” o “mondo su mondo”. Se il Project Manager italiano assegnato in distacco presso la nostra consociata francese si dimette passando a un concorrente, per risolvere il problema si potrebbe ricorrere a un candidato francese già presente in organico oppure a “quel Project Manager indiano che ha performato molto bene, prima presso la nostra consociata indiana e ora, da un anno, presso il plant tedesco, dove è stato distaccato”. Quella rapidamente descritta è una narrazione che chi “fa” International HR conosce e con la quale, forse quotidianamente, si confronta.

Una International Workforce determina peraltro una serie di criticità a valle della strategia HR e ne condizionano la piena efficacia se non tenute nella dovuta considerazione: un fattore critico di successo diventa la costruzione e impostazione di un modello organizzativo che renda consistente ed efficace la gestione di risorse che provengono da molti Paesi e che di frequente potranno essere chiamate a prestare la loro attività tecnica o manageriale in un Paese terzo rispetto a quello di origine e a quello ove ha base la capogruppo che guida le linee strategiche aziendali. Le complessità organizzative che sovrastano questi flussi di lavoro possono essere molto più complesse di quanto non si pensi.

Uno dei modelli che la practice manageriale ha sviluppato, in particolare nell’ultimo decennio, è quello della Global Employment Company, che per semplicità chiameremo GEC. GEC è un modello di società che si pone l’obiettivo di rendere agile, veloce e performante la gestione di risorse internazionali, provenienti da “home countries” diversificati e assegnate nel corso della loro carriera in Paesi non preventivamente determinabili. La governance di Corporate non può sottovalutare il problema di una costante ricerca di armonizzazione dei processi, ivi compresi quelli che supportano la mobilità internazionale del lavoro. GEC in effetti può rispondere a questo tipo di domanda del business quando l’item di riferimento è quello proprio della gestione di “risorse multinazionali in un contesto multinazionale”.

Una prima considerazione di carattere generale è che GEC si profila come veicolo organizzativo che tende a coordinare efficienza ed efficacia organizzativa funzionale alla gestione di contratti di lavoro stipulati con persone di diverse nazionalità e posta un’unica giurisdizione di riferimento riconducibile a quella del Paese dove ha sede la GEC. Nel tempo UK, Olanda, Irlanda, Svizzera, Singapore, Hong Kong si sono rivelati interessanti hub presso i quali ubicare una GEC. Ad esempio, se un’azienda vanta numerose legal entities, branch e subsidiaries nel mondo e ognuna dovesse assegnare uno o più dei propri dipendenti presso un progetto internazionale trasversale ubicato, ad esempio, in Spagna, la conseguenza fisiologica sarebbe quella di organizzare tanti contratti di lavoro quante sono le giurisdizioni di partenza dei candidati e attivare un articolato percorso teso a conseguire la piena compliance, sotto tutti i punti di vista. Il tutto transitando, come normale, attraverso un contratto di distacco da ogni singolo home country da dove proviene il dipendente verso, in questo esempio, la Spagna. È peraltro, quello appena descritto, un fenomeno organizzativo ricorrente, forse ancora dominante, che tuttavia richiede un’organizzazione centrale a livello di governance HR molto solida e, se possibile, fortemente vocata a una regia operativa di alto profilo in materia di Global Mobility.

Il mondo dell’ingegneria, dell’Oil&Gas ma anche quello finanziario e dei servizi, ha iniziato a valutare l’implementazione di soluzioni diverse laddove la catena del valore aziendale passi per una forza lavoro espatriati di profilo multietnico: se è vero che il talento non ha nazionalità è altrettanto vero che una gestione armonizzata di questo talento transnazionale diventa nel tendere sempre più complessa.

Una GEC offre l’opportunità di centralizzare tutti i servizi gestionali e organizzativi sotto un unico “sito internazionale” di riferimento che diventa il formale datore di lavoro dei talenti transnazionali che verranno successivamente messi a disposizione delle società operative, anch’esse internazionali, del gruppo di riferimento: la logica cui riferirsi potrebbe essere quella riconducibile agli Shared Service Center, esperienza consolidata e in continua evoluzione all’interno dei contesti organizzativi moderni. GEC è nei fatti una traslazione di questo concetto.

In generale il flusso di lavoro aziendale prevede che Capo Gruppo, che chiameremo KCompany, è presente in oltre 20 Paesi con sister companies e branch. Nell’ambito del suo sviluppo internazionale KCompany ha iniziato a mobilizzare molti dei suoi talenti, in una logica che contempli sviluppo e copertura di fabbisogni che necessitano di determinate e specifiche competenze. Al fine di conseguire una gestione armonizzata e avuto riguardo di una presenza di almeno 9 nazionalità diverse tra i propri talenti, KCompany decide di lanciare GEC, ubicandola, ad esempio, a Dublino. Le 9 nazionalità di cui sopra fanno capo a un totale di 47 talenti internazionali che la Governance HR e aziendale di Corporate intendono sviluppare attraverso un percorso di carriera internazionale. È a questo punto che i 47 talenti vengono presi in gestione da GEC che, sulla base di un “third country” di riferimento contrattualizza i 47 talenti e li invia nei Paesi dove KCompany palesa le necessità ed esigenze di maggior rilievo. Quello offerto da GEC è a tutti gli effetti un business model alternativo che permette all’azienda internazionale di semplificare molti aspetti della sua gestione, in particolare quello di una parcellizzata (e forse in qualche caso personalizzata) gestione delle risorse internazionali. Quest’ultima è una circostanza/rischio che molte aziende impegnate nella gestione dei processi di Global Mobility non possono non conoscere. Lo Shared Service Center ubicato nel nostro esempio a Dublino, vivrà dei “cost + management fees” ribaltati sulle sister companies internazionali utilizzatrici dei 47 talenti.

Il modello descritto è certamente interessante e se è vero che nasce in origine per la gestione di business caratterizzati da un taglio operativo molto spinto (Oil&Gas, construction, ingegneria) è altrettanto vero che può diventare attrattivo anche per la gestione di executive, immaginando una GEC che, in questo caso, diventa una vera e propria boutique HR finalizzata alla gestione di Manager internazionali. È il caso eventualmente riconducibile al mondo finanziario o a quello della consulenza direzionale.

Non ci sono peraltro solo vantaggi, vanno prese attente e pragmatiche precauzioni. Il rischio di aprire criticità in materia di stabile organizzazione nel Paese dove la popolazione GEC viene assegnata non è infondato: è bene in tal senso comprendere dove e come GEC possa necessitare di opportune branch nei Paesi di assegnazione delle risrose, posto che il business di riferimento di GEC rimarrà il servizio tecnico manageriale offerto alle sister company internazionali dove i talenti verranno formalmente assegnati. A valle del tema “stabile organizzazione” dovrà essere valutato anche quello legato alla gestione del Transfer Pricing, un aspetto di rilievo nelle aziende che hanno sviluppato il business model GEC all’interno del loro gruppo. Rimane inoltre aperto, come logico, il tema connesso alle complesse analisi necessarie per la definizione della residenza fiscale dei dipendenti coinvolti in questo tipo di processo: la GEC non supera ovviamente questo passaggio gestionale sul quale rimarrà centrale essere ben consapevoli e organizzati.

Il fattore critico di successo di GEC rimane, peraltro, la sua forte contribuzione al tema della flessibilità organizzativa, la sua grande capacità di creare armonizzazione gestionale ed equità retributiva, la sua consistente solidità derivante dalla standardizzazione contrattuale attribuita a tutte le risorse gestite attraverso questo modello. Una gestione pragmatica e ben valutata che miri a tenere insieme gli aspetti positivi e in pieno controllo i punti di criticità realizza un business model certamente performante, probabilmente come pochi altri in materia di gestione delle risorse internazionali.

Last but not least: il tema previdenziale. In Italia l’argomento è sempre vivo e dibattuto, con particolare riguardo allo scenario generale e al tema dell’età di pensionamento. Il quadro di riferimento su cui ci stiamo confrontando “vede” questo step gestionale in modo certamente diverso. Una prima considerazione (che peraltro potrebbe ben valere anche per modelli di gestione di risorse internazionali diversi da GEC) è che le nuove leve, in particolare la seconda tranche della “yGen” e certamente tutti i millennials, vivono il tema dell’ancoraggio al sistema previdenziale del proprio Paese di origine come non prioritario. L’orientamento al challenge degli under 35 ha carattere esponenziale rispetto ai nati tra il 1965 e il 1980, ossia la larga maggioranza della classe dirigente attuale. Laddove non si trovano business model quali quelli riconducibili a una GEC, è in effetti in crescita il fenomeno delle localizzazioni internazionali, dove nuovamente KCompany, a fronte dei medesimi fabbisogni illustrati nell’esempio precedente, propone a un talento 33enne una localizzazione in USA, o in Brasile o in Cina. È frequente che il talento accetti questa proposta, anche a fronte della perdita del rapporto di lavoro con il suo “home country”, in quanto il challenge favorito dal mix “carriera, esperienza di vita e percorso retributivo attrattivo” prevale sul legame con casa madre e, se del caso, con la previdenza del proprio Paese di origine, ossia l’ultimo step di questa nostra analisi. GEC, quando lanciata, supera (o al limite contiene) possibili punti di criticità attraverso l’organizzazione di piani pensionistici integrativo-aziendali che coordinano nei fatti due ulteriori fattori di successo riconducibili:

  • alla garanzia di una copertura previdenziale privata (comunque integrativa o a quella obbligatoria del Paese ove è ubicata GEC o, in alternativa a quella obbligatoria del Paese ove è resa la prestazione di lavoro, in applicazione del principio di territorialità dell’onere contributivo);
  • alla retention del talento, laddove molti piani di previdenza integrativa privata prevedono la retrocessione dei versamenti in favore dell’azienda (in questo caso di GEC) qualora il dipendente che vi abbia avuto accesso dovesse lasciare l’azienda stessa entro un perimetro temporale pre-definito, di solito non inferiore a 3 anni.

La discussione è aperta, di GEC se ne può parlare.

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