Gestire gli expats in tempi di Covid: la survey di ECA Italia

Il titolo di questo editoriale estivo ci invita a una nuova riflessione sul “Cigno Nero 2020”: la pandemia Covid-19. Chi si occupa di Risorse Umane è chiamato ad affrontare una sfida senza precedenti, dovendo supportare la propria forza lavoro internazionale attraverso strategie e decisioni fuori dagli schemi tradizionali. L’incontro con il Cigno Nero ha smontato paradigmi e aperto nuove discussioni. ECA Italia, il nostro gruppo di partner, manager, professionisti ha reagito e preso le opportune contromisure per garantire ai propri clienti un servizio, tecnico e gestionale, tale per cui la gestione della international workforce non perdesse smalto in termini di performance e operatività, assicurando come sempre supporto sia sul piano del servizio che del contatto e della continuità relazionale. D’altro canto l’emergenza sanitaria e la limitazione – totale o parziale – agli spostamenti, nonché i provvedimenti adottati dai Paesi hanno avuto conseguenze sia per i lavoratori che già si trovavano all’estero durante lo scoppio dell’epidemia Covid-19 che sulla pianificazione delle nuove assegnazioni internazionali. Una delle prime iniziative intraprese dai nostri gruppi di lavoro è stata quella di sondare in via diretta con i nostri clienti, con le Direzioni HR, gli HRBP, i Global Mobility Manager quali fossero le prevalenti strategie e decisioni adottate per la gestione degli espatriati in tempi di Covid.

Su iniziativa di Stefano Pacifico Partner&Commercial Manager ECA Italia e con il supporto di Martina De SantisSales Manager Lombardia&Nord Ovest, il nostro team commerciale ha guidato un’attività di progettazione e raccolta informazioni presso 47 multinazionali con le quali i nostri team sono in costante contatto. Mi preme sottolineare alcune situazioni gestionali che fotografano lo stile e l’approccio che molte aziende hanno adottato: il 42% degli expats è rimasto nel Paese di assegnazione, optando per un’organizzazione del lavoro da remoto, mentre il 26% è stato temporaneamente rimpatriato. Solo il 6% degli expats ha visto interrompere in via definitiva la propria assegnazione. La quota rimanente del campione è stata oggetto di una ripartizione tra utilizzo ferie/permessi e ricorso agli ammortizzatori sociali (solo il 6%). Dover fermare o rallentare praticamente del tutto il ricorso alla mobilità internazionale di manager e tecnici è stato (e in buona parte ancora lo è) uno degli indicatori che ha maggiormente impattato sul gap generalizzato e trasversale che il business internazionale sta vivendo. Le maggiori difficoltà sono state riscontrate dalle aziende nella gestione degli aspetti logistici e organizzativi del rientro, inoltre le informazioni diffuse dai Paesi esteri hanno generato incertezze laddove le restrizioni ai viaggi e le misure atte a realizzare il distanziamento sociale erano in continua evoluzione e cambiamento. Un dato particolarmente interessante è stato quello relativo ai “piani di espatrio 2020”: il 66% delle aziende intervistate ci ha confermato che i piani rimangono validi, posto il loro corrente congelamento: è una conferma sulla centralità che le aziende vogliono dare, continueranno a dare, all’espatriato, quale stakeholder del sistema complesso riconducibile all’azienda internazionale. Non particolarmente significativi sono stati gli interventi in materia di politica retributiva (un tema che avevamo già affrontato nel precedente numero di IMJ) a conferma del fatto che non sarebbe (stato) coerente garantire riassetti in aumento dei trattamenti economici di espatrio in una fase di questo tipo, seppure gli espatriati abbiano reso la loro prestazione all’estero in condizioni più complesse. La pandemia è, è stata, un problema di tutti, un Cigno Nero inaspettato che ci ha colto di sorpresa. Unica eccezione il personale in turno presso cantieri e/o piattaforme, laddove il virus ha reso impraticabile il turnover, in alcuni casi con raddoppi e triplicazione dei turni: abbiamo in tal senso registrato una grande collaborazione tra HR, Relazioni Industriali dei clienti, RSU, lavoratori, una grande coesione che ha da un lato riconosciuto le grandissime difficoltà e disagi per questi dipendenti e dall’altro la loro straordinaria dedizione e disponibilità a garantire la business continuity.

Il 27% delle aziende delle aziende intervistate prevede che nel 2021 potrebbero mutare alcuni paradigmi nei piani di assegnazione internazionale del personale: è ragionevole pensare che ci saranno dei riassetti organizzativi, la discontinuità che abbiamo vissuto e stiamo vivendo non potrà non avere effetti.

I risultati della nostra indagine sono disponibili sul nostro blog www.distaccoestero.com e scaricabili gratuitamente.

Oggi si parla di prossima rivoluzione organizzativa, con grande spinta sullo smart working: va compreso quanto gli asset quali diversity, team building, internazionalizzazione degli organici, cultura internazionale, incontri con “l’esperienza altra” possano trovare in questa formula una pratica realisticamente sostitutiva della prevalente modalità di lavoro così come conosciuta fino ad oggi, laddove il “remote work/smart working” venisse portato a ritmi di utilizzo (a regime) in linea con il secondo trimestre 2020. Il bilanciamento dei modelli organizzativi potrebbe essere, come spesso capita, l’opzione che renderà capitalizzabile questa nostra nuova attitudine, evitando – se possibile – di dimenticare che l’azienda (colleghi italiani e stranieri, gruppi di lavoro, tecnologie, clienti, fornitori, il nostro desk, la pausa caffè, la mensa, i corsi di formazione) rimane un “luogo”, un momento di relazione e vita collettiva che ha portato e deve portare alla creazione di valore. In questo la tecnologia rimarrà sempre un mezzo, mai (a mio parere) un fine.

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