Epistemologia del Cigno nero
Secondo lo strategist di un grande fondo hedge, l’epidemia Coronavirus rappresenta “la Chernobyl della globalizzazione”. Ci sarà un prima e un dopo, ritiene. Per la riorganizzazione a livello manageriale, produttivo, nella gestione delle esternalità e nelle grandi catene del valore transnazionali. Per ora è ancora difficile stabilire l’entità dei danni da Coronavirus: da un lato la malattia e le quarantene tengono lontani migliaia di lavoratori – in Cina, Corea del Sud, Italia su tutti – con un impatto sulla produzione. Al tempo della Sars, la Cina rappresentava il 4% dell’economia globale, oggi ne rappresenta il 16%: i grandi modelli econometrici segnalano che per ogni 1% di crescita cinese che se ne va, la frenata nel resto del mondo è pari a 0,3-0,4%. Ciò implicherebbe una frenata dell’economia globale dal 3,3% all’1,8%.
Dall’altro si è già registrato un drammatico crollo dei viaggi, una forte riduzione delle interazioni commerciali e personali, un cambiamento nelle scelte degli agenti economici. Questo ha impatto sulla fiducia dei mercati, come si è visto dai ripetuti crolli delle Borse. Che in simili circostanze hanno di certo una componente emotivo-reattiva, oltre a incorporare le prime stime di recessione tecnica per l’economia. La pioggia di vendite è arrivata peraltro dopo una lunga serie di record positivi, grazie alla cui spinta anche il nostro Ftse Mib, l’indice principe a Milano, è tornato ai livelli del 2008, prima dunque della Grande crisi globale innescata dai mutui subprime.
Il castello di carte della finanza strutturata che dodici anni fa rovinò con fragore si era manifestato – per molti osservatori, solo con il senno di poi – nelle sembianze di un “cigno nero”, evento raro e imprevedibile, secondo la fortunata espressione dell’ex trader di Borsa Nassim Nicholas Taleb, il cui omonimo saggio filosofico è diventato non a caso un best seller. Il guaio è che eventi catastrofici di tale portata non consentono di fare previsioni in base alle ordinarie modellizzazioni statistiche. Impossibile dire se la debacle dei mercati sia una semplice (e salutare) correzione dopo i massimi degli ultimi mesi o l’inizio di una vera e propria inversione di tendenza. Con fenomeni come l’impacchettamento e rivendita dei mutui ad alto rischio oppure, oggi, la pandemia, si entra infatti in un’altra dimensione epistemologica. Dove a regnare sono i processi stocastici, la matematica della complessità o quella finanza frattale che per un altro genio dei numeri, Benoit B. Mandelbrot, era l’unico strumento in grado di analizzare l’andamento dei mercati, per lui intrinsecamente instabili e appannaggio delle teorie del caos.
L’epistemologo Taleb distingue invece tra ambienti “Mediocristan”, sicuri e statici, dove per valutare l’evoluzione di un fenomeno si utilizza con disinvoltura la distribuzione gaussiana. I decessi per un’ordinaria influenza – e allo stesso modo le possibili ricadute economiche – rientrano in quest’ambito. Il Coronavirus appartiene invece agli ambienti “Extremistan”, contesti dinamici e imprevedibili in cui la curva della densità di probabilità dei decessi, anche se in termini assoluti di gran lunga inferiori a quelli di un’influenza, non ha la forma della campana di Gauss: non possiamo cioè secondo Taleb conoscerne i valori estremi, le forti divergenze, e questo manda in tilt i nostri schemi interpretativi e la valutazione consueta de rischi connessi. Anche se poi, solo a posteriori e quando il panico non senza danni è rientrato, tendiamo a razionalizzare, riconducendo il volo del cigno nero alle più tranquillizzanti leggi ordinarie della probabilità.