Cominciamo da Capo: necessaria autocritica di chi è al comando
Accomodatevi tranquillamente sulla poltrona della nostra Barberia. Sistematevi bene, in posizione comoda, soprattutto se nell’organigramma aziendale occupate una casella dirigenziale, se siete un manager con riporti diretti, un capo, o se lavorate nelle Risorse Umane. Perché stando ai risultati di un indagine realizzata dal “Centro sul cambiamento, la leadership e il people management” della Liuc Business School, avrete un bel po’ di lavoro da fare. Innanzitutto su voi stessi: tre dipendenti su quattro, in Italia, non consiglierebbero infatti a un caro amico il proprio capo. Unica consolazione, si fa per dire, sono in buona compagnia, visto che i risultati sembrano ricalcare un trend internazionale.
La ricerca – “Good boss vs bad boss. Le nuove competenze dei manager 4.0” – è stata realizzata in collaborazione con la francese Iéseg – School of Management, con il Cfmt di Manageritalia e con Aiads, l’Associazione italiana di analisi dinamica dei sistemi. Presentata di recente, ha coinvolto oltre 600 dipendenti di aziende italiane utilizzando il “Net management promoter score”, una metrica introdotta nel marketing nei primi anni Duemila e adattata dieci anni dopo al management da Julian Birkinshaw della London Business School.
In questa indagine della Liuc, la propensione a consigliare il proprio capo è stata misurata sulla base di 14 comportamenti manageriali, selezionati da Birkinshaw come quelli caratterizzanti una leadership efficace oggi. Con l’obiettivo di analizzare cosa si aspettano gli italiani dal proprio capo, cosa apprezzano in lui, cosa vorrebbero e, soprattutto, cosa ritengono gli manchi per essere un buon capo. Dalla domanda indiretta se consigliare o meno il proprio responsabile – come anticipato, la risposta è stata negativa in tre casi su quattro – si ricavano informazioni sulle relazioni prevalenti tra capo e collaboratore e indicazioni su come migliorare il clima aziendale, l’engagement dei dipendenti e l’affezione al lavoro, partendo proprio da quella dinamica.
Ebbene, entrando in punta di piedi negli aspetti qualitativi, quasi il 75% del campione non consiglierebbe il proprio capo perché non definisce chiaramente ruoli e responsabilità, non dà feedback tempestivi, non fa in modo che i collaboratori abbiano tutte le risorse per svolgere bene il proprio lavoro e non sa gestire le proprie emozioni né quelle altrui (la cosiddetta “intelligenza emotiva”). Di conseguenza ha paura di prendere decisioni difficili e non ha chiare linee d’azione su come conseguire i propri obiettivi e sviluppare la propria area. In particolare, quasi il 40% degli intervistati afferma che non consiglierebbe affatto il proprio “capo” e quasi il 34% non si pronuncia, resta neutrale, e quindi di fatto rientra nel novero di chi comunque non lo consiglierebbe attivamente.
Volendo considerare il quarto di bicchiere pieno, il 26% dei dipendenti che consiglierebbero il proprio diretto superiore lo fa perché ne apprezza la capacità di lasciare libertà nel modo di conseguire i risultati, valuta positivamente la sua disponibilità al confronto se richiesto, la capacità di ascolto delle opinioni altrui, il coraggio nel prendere decisioni difficili e la chiarezza delle linee d’azione per raggiungere i propri obiettivi. Per chi è avvezzo con la gestione delle persone non si tratta che di una conferma: la preferenza, oggi, va verso una leadership non più basata sul principio “comanda e controlla”, ma sulla fiducia e responsabilità dei collaboratori e sull’ascolto attivo.
Emerge infine come discriminante per una buona qualità manageriale la capacità di gestire le proprie emozioni e quelle altrui, la cosiddetta “intelligenza emotiva” teorizzata in particolare da Daniel. Non a caso è tra le prime 10 competenze richieste dal World Economic Forum per affrontare complessità e aiutare i collaboratori a sentirsi coinvolti pur nell’incertezza del cambiamento continuo. Ebbene, nella ricerca Liuc i dipendenti segnalano questa carenza al quarto posto come motivo per non consigliare il proprio capo. Forse, volendo fare autocritica, converrebbe partire da qui.