Cigno nero, crisi economica, “rimbalzo”: impatti sulla Global Mobility
Un “fulmine a ciel sereno”… ma anche “di punto in bianco”… oppure…”dal nulla”. In economia, nel linguaggio del business, la traduzione di queste espressioni è “cigno nero”. Il termine fu reso noto da Nassim Nicholas Taleb, professore di Finanza Aziendale e broker di successo a Wall Street. Va ricordato che il successo della “metafora del cigno nero” è anche legato al fatto che prima della crisi finanziaria del 2008 lo stesso Taleb, in una sua pubblicazione, parlò di un “evento di cigno nero” che avrebbe potuto generare impatti potenti e una grave crisi economica. Lo scrisse nel 2007. Da quel momento l’espressione “cigno nero” si associa a fortissimi momenti di discontinuità in ambito economico, generati e determinati da fattori esogeni e del tutto imprevedibili. Taleb peraltro sostiene che proprio in funzione di questa imprevedibilità si dovrebbero sviluppare pensieri strategici da parte degli stakeholder economici tali da quasi provocare l’arrivo del cigno nero. “Non sai” che sembianze avrà questo fenomeno imprevedibile ma “devi predisporti” ad accettare una sfida su un territorio sconosciuto.
Covid-19 è certamente il cigno nero di questa epoca, probabilmente di questo ultimo cinquantennio; tutto sommato la crisi finanziaria del 2008 non era poi così imprevedibile (lo scoppio della bolla immobiliare era stato pronosticato da molti). Ci sembrava, nel mese di gennaio, lontano, un problema della Cina, che avrebbe avuto impatti limitati sui rapporti tra il nostro sistema e quel grande mercato: più di qualcuno ha detto “il mondo è grande, è largo, sarà come per la Sars, avremo qualche conseguenza, ma la Cina si riorganizzerà rapidamente”. Invece il Cigno Nero si stava avvicinando pericolosamente (o forse era già arrivato).
In questa fase sono sotto il faro i risultati delle trimestrali, posto che governance aziendali, investitori e osservatori internazionali saranno più attenti alle previsioni del secondo e terzo trimestre che non ai resoconti di un primo trimestre che ha avuto in gennaio e febbraio mesi sostanzialmente normali. Il profilo delle previsioni tradurrà l’idea delle aziende sul prossimo futuro e quindi sul trend dei rispettivi mercati di riferimento. Le previsioni del FMI stimano una caduta del PIL globale del 3% e un plausibile – e auspicabile – “rimbalzo” nel 2021, in crescita, del 4%. Va detto che il margine di errore di queste stime non è trascurabile in una fase storica fluida come questa. I dibattiti correnti nei webinar sulle strategie da adottare, nei talk show televisivi senza pubblico, sulle principali testate giornalistiche nazionali ed estere sono incentrati su “come sarà la Fase 2”. Una recente indagine di Bank of America segnala che gli investitori che pensano a un rimbalzo a “V” sono meno del 15%: il convincimento è quello di un percorso più complesso. Oltre il 50% degli operatori di mercato intervistati da Bank Of America parla di una ripresa a “U”, quindi con un rimbalzo, certamente, ma nel quadro di una curva più morbida e meno esponenziale. Sarà cruciale la fase di assestamento, durante la quale molte aziende dovranno mettere alla prova il loro reale grado di resilienza, una tesi che in qualche modo si coordina con la previsione di quegli operatori (oltre il 20%) che sempre nel benchmark di Bank Of America prevedono uno scenario a “W”, una circostanza che farebbe presupporre anche la possibilità di speculazioni nella fase di (ondivago) assestamento.
Guardando in casa nostra, il Centro Studi di Confindustria nel suo rapporto a conclusione del primo trimestre 2020 prevedeva una ripartenza nel secondo semestre comunque fortemente frenata dalla precedente caduta della domanda di beni e servizi, profilando un teorico nuovo regime produttivo (al 100%) non prima di luglio. È probabile avremo peraltro numeri, si teme, più blandi, soprattutto a luglio. Sempre a fine primo trimestre l’orientamento del Centro Studi di Confindustria era/è quello di un rimbalzo nel 2021, in questo caso – ottimisticamente – con scenario a “V”.
Quali gli impatti sulla Global Mobility? Come stakeholder di riferimento nel mercato italiano dei servizi sulla Global Mobility stiamo osservando con attenzione come i vari Paesi stiano gestendo il tema del lockdown e soprattutto come potranno (i singoli Paesi) integrarsi e coordinarsi rispetto alle diverse ipotesi di “Fase 2”, con conseguente ripresa di una mobilità internazionale del lavoro che in questa fase non può che scontare uno stand by, soprattutto con riguardo a nuovi progetti e nuovi investimenti. In questi primi due mesi di crisi COVID-19 abbiamo registrato una regolare domanda da parte delle Direzioni HR con le quali ci confrontiamo da anni. Una larga quota della popolazione espatriata è rimasta nei Paesi di assegnazione, con particolare riguardo alla popolazione white collar. È noto che gli espatriati coprono in larga parte posizioni chiave e la crisi va gestita, il ruolo dei manager assegnati all’estero è stato ed è in tal senso ancor più cruciale. Ci sono e si sono avute ripercussioni importanti sulle posizioni prettamente tecniche, quelle di gestione e sviluppo cantieri, dove gli espatriati si spostano in team/squadre in turno. In molti casi la business continuity è stata ed è seriamente a rischio quando, ad esempio, una squadra di tecnici avrebbe dovuto (senza potere) entrare nel cantiere X ubicato nel paese Y, dove magari la popolazione già presente nel cantiere, ad esempio da 60/70 giorni, era “al riparo” dal rischio COVID-19, ma dove la nuova squadra in arrivo dall’Italia non poteva vantare lo stesso tipo di certezza o garanzia. Sono momenti febbrili, molti progetti vivono una fase di sospensione, di rischio, ma è doveroso e di buon auspicio segnalare anche aziende che stanno pianificando e guardando al medio termine con piani di assegnazione di figure qualificate nei prossimi 3-4 mesi: il business deve evidentemente rimanere dinamico, deve mantenere quella vitalità che permetta di guardare oltre. In questo senso si rivelano interessanti le dinamiche gestionali verso cui le aziende si stanno orientando. Siamo stati avvicinati da alcuni dei nostri clienti con riguardo a che tipo di approccio tenere sul piano delle politiche retributive di espatrio in costanza di assegnazione all’estero durante la crisi COVID-19. Potrà avere o meno senso intervenire, ad esempio, sull’indennità di disagio? È una questione evidentemente critica e a nostro parere osservabile da una latitudine non univoca. Il caso dei tecnici di cantiere richiamato sopra, apre una consistente problematica in ambito retributivo: in effetti il raddoppio di un turno non può, in generale, non prevedere eventuali interventi sul piano del pacchetto economico, con particolare attenzione proprio al tema disagio Paese e più in generale l’associazione di una special allowance a fronte di un extra effort fornito dal dipendente in condizioni di elevata difficoltà, nel quadro di un nuovo scenario che anche e soprattutto sul piano biologico apre consistenti criticità. Allo stesso tempo, facendo altresì riferimento a espatriati white collar, quindi executive, manager, talenti, diventa difficile immaginare e giustificare la corresponsione di indennità aggiuntive causa Covid-19. La drammatica circostanza di questa pandemia è in effetti un problema che tocca l’espatriato quanto il locale ed è in tal senso che la raccomandazione, a nostro parere, deve essere orientata. È anche quanto emerge dall’Osservatorio di ECA International che segnala che solo il 4% delle aziende intervistate sulla crisi Covid-19 ha incrementato l’indennità di disagio per i propri espatriati e soltanto il 5% ha introdotto una special allowance.
E il costo vita? Tra gli effetti del coronavirus c’è l’incertezza sull’andamento dei tassi di cambio e dell’inflazione, ossia dei due principali fattori che influenzano il costo della vita per il personale all’estero. Certamente molti Paesi stanno registrando aumenti inflattivi o valutari, ma non è sempre detto che questo debba tradursi in un automatico adeguamento del costo vita, anche se il naturale orientamento potrebbe essere quello di proteggere – ancor più in questo periodo – gli standard di vita del personale espatriato: difatti le brusche oscillazioni valutarie in negativo potrebbero contrapporsi ad altrettante improvvise inversioni di tendenza nel breve periodo. In alcuni casi poi, questi due fattori in gioco (tasso di cambio e inflazione) potrebbero annullarsi a vicenda: un dipendente potrebbe trovarsi di fronte a prezzi in aumento a causa di una valuta estera debole, ma anche guadagnare dallo stesso deprezzamento in caso di pagamento in una valuta forte. Infine, essendo ormai tutti i Paesi coinvolti dalla pandemia COvid-19, le valutazioni aziendali sul costo della vita del personale espatriato non dovrebbero focalizzarsi solo sulle condizioni del Paese Host, ma anche su quelle del Paese di partenza, a significare che una modalità di azione potrebbe essere quella di continuare con le attuali politiche in materia di COLA come se la crisi del coronavirus non si fosse manifestata utilizzando gli attuali strumenti messi a disposizione dalle policy di Global Mobility. Nel caso in cui si volesse comunque intervenire, una modalità condivisibile sarebbe quella di prevedere un’indennità una tantum piuttosto che un adeguamento destinato a produrre effetti anche futuri.
Quale sarà lo scenario di medio termine, inutile dirlo, è di difficile comprensione, la certezza del cigno nero ci obbliga ad aumentare il nostro grado di attenzione, spostandolo in modo forte verso un piano strategico. Se sarà uno scenario a “V” quello che ci attende, la nostra nave dovrà essere pronta ad affrontare altri tipi di onde che i “rimbalzi” economici, di norma, provocano. Gli stress di queste settimane ci hanno confermato che gli espatriati, executive, manager e specialisti, continuano a rappresentare un fattore critico di successo per le aziende.
ECA Italia, in piena business continuity è pronta, continua ad essere pronta, anche in un momento di questo genere a supportare le Direzioni Risorse Umane, mai come ora “nel mondo, alleati al tuo fianco”.