Brexit sta per compiere due anni: i punti critici per la previdenza degli espatriati

L’’uscita del Regno Unito dall’UE (cd. Brexit) ha aperto più di un dibattito in seno alle aziende italiane e, più in generale, all’interno delle aziende internazionali che hanno continuato ad inviare lavoratori in UK. Per definire le implicazioni previdenziali del distacco nel Regno Unito, occorre analizzare l’attuale quadro normativo di riferimento alla luce della Brexit, in particolare:

Il 17 ottobre 2019, è stato approvato l’accordo di recesso del Regno Unito dall’Unione Europea. In base a tale accordo, entrato in vigore il 1° febbraio 2021 e valido sino al 31 dicembre 2021, dal punto di vista previdenziale, l’UE ha trattato il Regno Unito come se fosse uno Stato Membro dell’UE. Sino al 31 dicembre 2021, pertanto, è rimasta applicabile la normativa comunitaria sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale (regolamenti (CE) n.883/2004 e (CE) n.987/2009).

In data 24 dicembre 2020, l’Unione Europea e il Regno Unito hanno concluso un accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione (Trade and Cooperation Agreement o TCA), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L 444 del 31 dicembre 2020. Tra le altre cose, il TCA stabilisce che gli Stati membri e il Regno Unito coordinano i rispettivi sistemi di sicurezza sociale a norma del Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale (Protocol on social security coordination o PSSC). A far data dal 1° gennaio 2021 dunque, per quanto riguarda l’invio di personale nel Regno Unito, la disciplina previdenziale contenuta nel regolamento (CE) 883/2004 è integralmente sostituita dal Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale del TCA. Il protocollo in gran parte replica i contenuti del regolamento 883/2004, conservando dello stesso i principi di parità di trattamento, esportabilità delle pensioni, totalizzazione dei periodi assicurativi e unicità della legislazione applicabile.

Così come il regolamento CE 883/2004 presentava la possibilità, a determinate condizioni, di derogare al principio di territorialità dell’obbligo assicurativo, anche all’interno del protocollo sono ammesse deroghe, nello specifico agli articoli 11 (lavoratori distaccati) e 12 (esercizio di attività lavorativa in due o più Stati). L’Articolo SSC.11 del citato protocollo, rubricato “Lavoratori distaccati”, prevede la possibilità di derogare transitoriamente al principio di territorialità e di rimanere soggetti alla legislazione dello Stato di origine purché:

  • il datore di lavoro eserciti le sue attività abitualmente nello Stato di origine;
  • il lavoratore svolga nell’altro Stato un’attività per conto del datore di lavoro;
  • la durata di tale attività lavorativa non sia superiore a 24 mesi e tale persona non sia inviata in sostituzione di un altro lavoratore distaccato.

Diversamente da quanto previsto dalla previgente normativa comunitaria, le nuove disposizioni in materia di legislazione applicabile contenute nel Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale non prevedono la possibilità di prorogare la durata ordinaria del distacco (24 mesi), né di stipulare, in determinati casi e a determinate condizioni, accordi in deroga alle norme generali previste in materia di determinazione della legislazione applicabile (cfr. l’art. SSC.10). Pertanto, qualora un lavoratore, stabilmente occupato in uno Stato membro dell’Unione Europea fosse inviato a lavorare temporaneamente nel Regno Unito (o viceversa), potrà rimanere iscritto al regime previdenziale del suo Paese di origine a condizione che l’attività lavorativa prestata nell’altro Stato non superi i 24 mesi e lo stesso dipendente non sia inviato in sostituzione di un altro lavoratore giunto al termine del suo periodo di distacco.

Considerato lo scenario normativo appena descritto e approssimandoci al primo biennio post Brexit, ci preme segnalare che alla data odierna non si registrano interventi tali da far profilare possibili proroghe ai 24 mesi di distacco. È un tema significativamente critico con il quale le aziende con espatriati in UK dovranno iniziare a confrontarsi aprendo, se del caso, alla possibilità di una localizzazione presso la consociata in UK qualora le esigenze organizzative richiedessero un’estensione dell’assegnazione del dipendente oltre i 24 mesi.

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