Andrea Benigni per Direzione del Personale AIDP – INTERNATIONAL REMOTE WORKER E “NUOVE FORME DI EXPATS”
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La discontinuità generata dalla pandemia ha innescato impatti molto significativi nelle nostre organizzazioni. Il dibattito su “cosa succederà dopo” è aperto da tempo e, tra gli altri, anche la Global Mobility e i suoi stakeholders (Direttori HR, HRbp, Global Mobility Manager, Business Manager coinvolti) hanno attivato un’articolata serie di valutazioni.
Uno degli effetti generato da questa stagione è stata l’evoluzione di una nuova figura che si è repentinamente diffusa tra molte aziende internazionali: il c.d. international remote worker. È quel dipendente che svolge la sua attività lavorativa in un Paese diverso da quello in cui è ubicata la sede del suo datore di lavoro. Non sono poche le richieste di focus su questo possibile business model che i nostri gruppi di lavoro vedono recapitare sulla loro casella email. È un fenomeno certamente interessante che, se ha trovato nel Covid-19 il suo incipit, potrebbe ragionevolmente diventare un modello organizzativo da applicare nel medio termine.
È ormai consolidato il fatto che le aziende hanno messo a fuoco la possibilità di raccogliere performance di livello anche attraverso prestazioni svolte da remoto. Tuttora molte delle nostre organizzazioni, complice anche il perdurare dell’emergenza sanitaria, continuano a utilizzare questo schema ed è certo che lo smart working verrà osservato da una latitudine diversa quando la campagna vaccinale sarà terminata e avremo la possibilità di tornare a un’organizzazione del lavoro “così come lo abbiamo conosciuto fino a febbraio 2020”. Il punto di cui si parla però è diverso: fino a ieri, un manager internazionale, se voleva essere ingaggiato in Germania o in Francia doveva realisticamente valutare un trasferimento nel Paese estero.
Stiamo seguendo l’evoluzione organizzativa di alcune aziende che, trovandosi in questa particolare circostanza, hanno valutato e stanno praticando la possibilità di assumere dei candidati residenti in un Paese diverso da quello del datore di lavoro, che lavoreranno dal proprio Paese di residenza, dal proprio domicilio. In effetti questo tipo di soluzione coordina la maggiore possibilità di accesso ai talenti ed expertise presenti sul mercato internazionale con una verosimile riduzione dei costi legati a un espatrio o a un trasferimento.
Non tutte le posizioni di lavoro sono gestibili in questa modalità, ma ciò che emerge da questa fase storica è una reale attenzione delle aziende a soluzioni quali, appunto, l’International Remote Worker. Si aprono chiaramente problemi gestionali verso i quali va tenuto molto alto il livello attentivo: un’assunzione di un international remote worker italiano, che opera in Italia, da parte di una società francese priva di stabile organizzazione nel nostro Paese, pone il tema di come organizzare la gestione operativa del dipendente italiano: sarà importante valutare le implicazioni contrattuali legate alla definizione della legislazione applicabile al rapporto di lavoro e dotarsi di un agente professionale italiano che garantisca alla società straniera l’assolvimento degli adempimenti previdenziali italiani.
È chiaro che il medesimo schema potrebbe operare in forma speculare, laddove sia un’azienda italiana adassumere un talento francese o tedesco che opera nel suo Paese, dove la società italiana non è dotata di una stabile organizzazione. Lo spunto che si vuole dare è, in generale, quello di sollecitare l’attenzione dell’HR verso nuove soluzioni organizzative che potranno, se del caso, coniugarsi con possibili esigenze di flessibilità e “agilità” che la dimensione internazionale di medio termine
richiederà all’azienda globale.